
I test su vermi e sull’uomo
La scoperta, che fornisce le prime prove concrete a sostegno di un’ipotesi formulata da tempo, è stata possibile grazie a due diversi filoni di test: uno condotto sui vermi più studiati dai genetisti, i Caenorhabditis elegans, e l’altro sull’uomo. Passando in rassegna tutti i geni collegati sia all’umore che alla durata della vita, gli studiosi hanno individuato ”una serie di geni coinvolti nei disturbi dell’umore e dello stress, che sembrano influire anche nella longevità”, ha detto Niculescu. Sono geni che cambiano ‘aspetto’ sia con l’invecchiamento sia nelle persone soggette a forti stress o disturbi dell’umore e che sembrano associati ad una vita più breve. Una sorta di controprova si è avuta somministrando ai vermi un antidepressivo che li ha fatti vivere più a lungo. Sempre nei vermi, i ricercatori hanno identificato 231 geni, la cui attività cambiava con l’antidepressivo.
In particolare si è osservato che il gene Ank3 diventava più attivo con l’invecchiamento e che l’antidepressivo lo aiutava a mantenersi più ‘in disparte’, come accade negli individui giovani. I test sull’uomo hanno portato alla luce 347 geni associati a sintomi depressivi, simili a quelli dei vermi, e le analisi del sangue hanno rilevato una maggiore attività del gene Ank3 nelle persone più anziane e in chi si era suicidato. La buona notizia è che esistono composti in grado di agire su questi geni collegati alla durata della vita. Fra questi i più comuni sono l’acido grasso omega-3 Dha, la quercetina, la vitamina D e il resveratrolo, insieme a estrogeni e farmaci antidiabetici.
